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L’accertamento della natura usuraria degli interessi dovuti in base ad un contratto di leasing, con la conseguente condanna della controparte alla restituzione di quanto indebitamente percepito a tale titolo, possono essere validamente decisi da un Tribunale Arbitrale.


E’ la conclusioni a cui si giunge grazie alla sentenza della Corte di Cassazione che ha disposto che l’azione per l’accertamento della natura usuraria degli interessi dovuti in base ad un contratto di leasing, con la conseguente condanna della controparte alla restituzione di quanto indebitamente percepito a tale titolo, è suscettibile di deferimento alla decisione degli Arbitri, ai sensi dell’articolo 806 del codice di procedura civile (controversie che possono essere oggetto di una clausola compromissoria arbitrale).

La vicenda riguarda una controversia instaurata davanti al Tribunale di Roma da una società incorporante, interessata a veder accertata la contrarietà alla legge di un rapporto giuridico instaurato dalla società incorporata.

Il contratto di leasing “usuraio” stipulato a danno di una società incorporata

Il casus belli riguardava il carattere usurario degli interessi previsti dal contratto di leasing immobiliare stipulato dalla società incorporata con la convenuta, domandando la condanna di quest’ultima alla restituzione delle somme pagate ed al risarcimento dei danni.

La convenuta eccepiva l’incompetenza del giudice, invocando la clausola compromissoria contenuta nel contratto di leasing.

Con propria ordinanza il Tribunale di Roma declinava la propria competenza in favore del Collegio Arbitrale, condannando l’attrice al pagamento delle spese processuali.

Avverso la predetta ordinanza la società attrice proponeva istanza di regolamento di competenza, così interessando della questione la Corte di Cassazione.

Se il diritto non è disponibile, l’Arbitro non può decidere

La Corte, dopo una prima disamina relativa all’individuazione della disciplina concretamente applicabile nella fattispecie in esame, ha affermato che, pur a fronte della novella normativa intervenuta sul punto, è da escludere il deferimento agli Arbitri delle controversie non aventi ad oggetto diritti disponibili.


Un conto è la indisponibilità del diritto; altro la inderogabilità delle norme

Ebbene, i Supremi Giudici hanno precisato da subito la divergenza che insiste tra i concetti di indisponibilità del diritto e inderogabilità delle norme (o imperatività della disciplina). Laddove vi sono norme imperative vengono spesso previste condizioni nel rispetto delle quali è appunto possibile disporre delle situazioni giuridiche coinvolte. Allo stesso modo, l’imperatività delle regole non impedisce che possa essere affidata in Arbitrato della controversia, come del resto si evince da diverse disposizioni del codice di rito (in tal senso depone, infatti, l’impugnabilità del Lodo Arbitrale sul merito nelle controversie individuali di lavoro).

Tassi di interesse e superamento della soglia usuraria

Sul merito della controversia, la Corte ha affrontato la questione relativa alla natura giuridica della normativa sui tassi d’interesse, soprattutto con riferimento alle conseguenze di eventuali violazioni. La Società ricorrente aveva sostenuto che la violazione delle norme che determinano il tasso d’interesse, stabilendo condizioni e limiti per la pattuizione d’interessi extralegali e applicando sanzioni penali, quindi rendendo l’oggetto del contratto illecito, renderebbe nulla qualsiasi transazione relativa ad esso (in applicazione dell’art. 1972 del codice civile – Transazione sul titolo nullo). Ne conseguirebbe l’esclusione della deferibilità in Arbitri delle controversie riguardanti il pagamento di somme dovute a tale titolo, ovvero, come quella in esame, la restituzione di quelle al medesimo titolo corrisposte.

La Corte non si è allineata a tale interpretazione, ritenendole domande che trovano fondamento in diritti disponibili.

La nullità del contratto illecito non impedisce di rimettere all’ arbitro le controversie volte a farla dichiarare

Il limite di cui all’ articolo 1972 del codice civile non impedisce affatto che le parti possano decidere di rendere “trasigibili” le controversie riguardanti la nullità del contratto ma si limita a comminare, a posteriori ed a determinate condizioni, le sanzioni della nullità o dell’annullabilità.

In tal senso, la pattuizione d’interessi usurari deve ritenersi nulla per illiceità dell’oggetto e, ai sensi dell’art. 1972 c.c., comma 1, anche nel caso in cui le parti abbiano avuto conoscenza di tale illiceità la transazione deve ritenersi nulla. Tuttavia, la ratio della norma non è quella di impedire qualsiasi transazione relativa a titoli in ordine ai quali sia stata sollevata una questione di nullità per illiceità, ma impedire la possibilità di ricollegarvi qualsiasi effetto.

Alla luce di quanto premesso, deriva che l’eventuale questione di illiceità sollevata in relazione al contratto nel quale è presente una clausola compromissoria, non rende automaticamente nullo il relativo Lodo, che ben potrebbe accertare la nullità del contratto stesso.

Senza dimenticare, ha precisato la Suprema Corte, che l’eventuale violazione di norme di diritto relative al merito rende il Lodo censurabile, ai sensi dell’art. 829, comma 3, del codice di procedura civile innanzi alla Corte di Appello.

ha collaborato Luca Carioti